Recensione Amori funesti della Prof.ssa Daniela Barsotti

Recensione del libro Amori funesti a cura della Prof.ssa Daniela Barsotti, in occasione della presentazione del libro presso il Liceo Niccolini Palli di Livorno il primo aprile 2017:

Partendo da un prologo in cui viene analizzata una novella del Decamerone inerente le figure di Tancredi e sua figlia Ghismunda che danno vita ad un racconto incentrato sull’amore “malato” di Tancredi per la bellissima figlia, si evince quanto l’amore possa essere sconvolgente, oscuro, ossessivo fino a trasformarsi in violenza fisica e psicologica e, talvolta, in una concreta distruzione fisica di colei che è oggetto di tale passione.

Da qui l’inizio di quattro storie, nate dall’ esperienza professionale di pedagogista clinica di Monica Bocelli, che hanno come minimo comune dominatore il difficile rapporto di alcune donne coi loro mariti e/o compagni, spesso culminanti in atti di violenza o torture psicologiche che molte volte hanno spinto queste figure femminili a fuggire dalla loro realtà o ad accettarla con rassegnazione per vari motivi che possono essere sia di carattere sociale, che culturale, o semplicemente ambientale.

Le tre storie di donne maltrattate di cui Monica è stata l’epicentro salvifico per il suo ruolo di counselor e la sua capacità di saper ascoltare empaticamente le loro  angoscianti vicissitudini, sono le storie di tre donne, tutte straniere:  una peruviana, una polacca e una albanese, che  mettono in evidenza quanto ancora oggi, nel 2000, sia difficile instaurare un rapporto paritario tra uomo e donna,  e quanto spesso per questioni socio-culturali e/o ambientali, la violenza, sia fisica che psicologica, sia l’espressione più facile e immediata da parte di uomini frustrati nell’affermazione della propria virilità e spesso abbrutiti dall’uso dell’alcool.

Il primo racconto El diablo, tratta dell’esperienza di Mary una donna peruviana che aveva sposato un uomo che, come lei stessa aveva riportato, assomigliava alla figura del “diablo” –  un personaggio tipico della cultura folcloristica locale, intendendo con questa definizione che aveva sposato un uomo che col tempo si era trasformato in un essere malvagio e violento, che spesso terrorizzava i figli, e non si peritava a picchiare la moglie davanti a loro. Col tempo Mary  riuscirà a trovare il coraggio di abbandonare il marito e a cercare rifugio in un centro antiviolenza, trovando così finalmente un po’ di pace.

Segue Il racconto di Katz, come un’eroina d’altri tempi, è il più lungo e si capisce il legame significativo che si è venuto a creare fra Monica Katz, una  giovane donna polacca, che si sacrifica giorno e notte a lavorare e studiare allo scopo di migliorare non solo la propria istruzione e situazione economica ma soprattutto per offrire alla figlia una sorte più dignitosa e appagante, a dispetto della vita miserevole e poco edificante che il marito, ammalato e disoccupato ha offerto loro. Significativo l’atteggiamento di Katz che, ancora legata agli usi e costumi della sua terra, non riuscirà, se non per  qualche attimo di rinnovata serenità e pace, alla fine a staccare completamente da quel perverso legame che la tiene unita sia alla sua famiglia di origine che all’infelice e ozioso consorte.

Il terzo racconto, Come Dafne, narra di una giovane donna albanese, immigrata in Italia ed ospite con il figlioletto di due anni, in una casa rifugio di Firenze. L’allusione è alla mitologia, una grande passione dell’autrice.  Il contenuto di questa storia si focalizza sul modo di agire che la donna mostra nei confronti del piccolo. Infatti, per usare le parole di Monica: ”come spesso accade quando certi bambini  son frutti di violenze, anche lei  non riusciva ad amare  suo figlio così  come viene naturale a una madre. Avrebbe avuto lei bisogno dell’affetto e delle carezze di una mamma. Nessun gesto d’amore trapelava dai suoi racconti che faceva stando seduta su una delle sedie attorno al tavolo di cucina quando parlava della sua vita trascorsa, del suo recente passato ormai concluso. Né bellezza né bontà avevano fatto parte della sua vita ma solo  durezza e carezze ruvide”. Da tutto ciò è chiaro capire che la giovane era stata vittima di uno stupro e di un mondo in cui l’amore e la gentilezza non esistevano. Aveva anche provato a stare insieme a colui che l’aveva stuprata ma quando questi, un tossicodipendente arido e violento, aveva scoperto che era rimasta incinta aveva iniziato a picchiarla sempre più con violenza. Da allora ha continuato a vivere per sé e il piccolo ma con l’aspetto e il cuore indurito da un’esistenza che l’ha devastata.

L’ultimo racconto è “La compagna del cardinale”: è la storia di una donna devastata dall’epilogo infelice  del suo amore per un uomo che alla fine anziché scegliere lei come compagna di vita decide di volgere la sua esistenza a Dio, facendosi sacerdote. Da questa profonda delusione la donna svilupperà un insidioso senso di abbandono  e rifiuto che la porterà ad un’ incurabile alienazione mentale.

Con questa brevissima storia si chiude il libro di Monica che ha voluto fare un excursus chiaro sui vari tipi di amori che molte donne, non solo straniere e poco colte o abbienti, vivono ma che non sempre dicono in quanto troppo dolorosi e infelici. Storie che le hanno lasciato  dentro la voglia di raccontarle  per uno scopo ben preciso: perché la violenza sulle donne non venga ricordata  solo il 25 novembre o l’8 marzo ma in ogni momento dell’anno e perché si faccia di tutto per sensibilizzare l’opinione pubblica, la scuola e tutte  le altre istituzioni, a far sì che certi episodi non si verifichino più e che  si consideri quindi la donna  come persona che ha diritto alla propria libertà e dignità.

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